Per quali esami del sangue bisogna essere a digiuno

Alla domanda per quali esami del sangue bisogna essere a digiuno, le risposte potrebbero essere molteplici. La certezza da cui partire è che per gli esami del sangue ci si deve preparare. Non ci si può presentare da un momento all’altro o dopo aver mangiato, perché questo contribuirebbe in maniera determinante a falsare i risultati. Se non si rispettano alcune procedure infatti, i valori delle analisi del sangue potrebbero risultare alterati e di conseguenza sarebbe impossibile fare valutazioni approfondite sullo stato di salute.

L’importanza del medico di base

La prima cosa da fare è chiedere consiglio al medico di base. Essendo lui a prescriverle (nella maggior parte dei casi) è la persona più indicata a cui chiedere regole e consigli nei giorni precedenti alle analisi del sangue. Non abbiate paura di fare domande, anche quelle che sembrano meno opportune o banali. Il medico è tenuto a rispondere a tutte le domande e ad ogni modo è meglio ottenere una risposta ovvia che fare di testa propria e rischiare di alterare il valore delle analisi del sangue. Una errata diagnosi infatti può essere molto più deleteria.

Cosa fare prima delle analisi

In linea di massima, prima del prelievo di sangue bisogna fare un digiuno variabile tra le 8 e le 14 ore. In questo lasso di tempo, bisogna assumere solo modiche quantità di acqua. Se non beviamo abbastanza, aumenterà la percentuale delle sostanze che circolano nel nostro sangue. In alternativa, la troppa idratazione potrebbe tendere a diluirle. Sempre in questa fascia di tempo non bisogna fumare, bere caffè o tè e né consumare alcolici. Per analisi ancora più impeccabili, nei giorni precedenti bisognerebbe evitare grandi abbuffate con alimenti grassi e zuccheri semplici. Anche un consumo esagerato di carne prima delle analisi potrebbe alzare l’azotemia e la creatininemia.

Il giorno prima delle analisi inoltre non bisognerebbe fare attività sportiva in modo energico: l’ideale sarebbe fare un’attività fisica leggera (e reidratare i liquidi perduti). Se si fa attività fisica di tipo aerobico, è possibile che nelle analisi del sangue possa verificarsi un calo dell’ematocrito, dell’emoglobina e dei globuli rossi. Le analisi del sangue si fanno sempre al mattino, sia che ci si rechi al laboratorio sia che si scelga l’opzione delle analisi del sangue a domicilio.

per quali analisi del sangue bisogna essere a digiuno

Per quali esami del sangue bisogna essere a digiuno

Dal punto di vista medico, ci sono determinate tipologie di analisi che potrebbero non essere alterate anche nel caso in cui la persona non sia stata a digiuno. Stiamo parlando di una casistica molto ridotta e che ad ogni modo, sarebbe difficile da spiegare. Per questo motivo, si è deciso di imporre il digiuno come condizione essenziale prima di un prelievo venoso.

Sarebbe troppo complicato spiegare e rendere consapevole le persone degli alimenti che si possono mangiare prima di alcune analisi, per questo motivo si è scelta la strada precauzionale: per effettuare le analisi del sangue bisogna rimanere a digiuno per un periodo compreso tra le 8 e le 14 ore (a seconda degli esami). Visto che è impossibile rimanere svegli per 8-14 ore senza mangiare, l’orario ideale per le analisi del sangue è la mattina presto. Esistono aziende private che offrono un servizio di analisi del sangue a domicilio su prenotazione.

Cosa mangiare la sera prima delle analisi

Visto che le analisi dovrebbero essere la cartina tornasole di un determinato stile di vita, il giorno prima delle analisi delle analisi del sangue (e i giorni precedenti) bisognerebbe mangiare “normale”. Fare una settimana di dieta ferrea e fare le analisi significherebbe alterare i risultati, perché lo scopo di molte analisi è proprio verificare se il proprio stile di vita sia un fattore di rischio per alcune malattie. Non ha senso, in questo caso, avere parametri ematici impeccabili se poi si torna ad avere uno stile di vita malsano. Il consiglio quindi è quello di mangiare normale, evitare le abbuffate e rispettare la regola del digiuno.

Quali farmaci alterano le analisi del sangue

Prima di sottoporsi agli esami del sangue, il paziente dovrebbe sospendere l’assunzione dei medicinali. Questo discorso naturalmente non vale per le terapie di malattie croniche e nei casi di farmaci salvavita. In tutti gli altri casi i farmaci andrebbero sospesi perché alterano in modo sensibile i valori delle analisi. Alcuni integratori per esempio possono interferire con gli esami e alterare parametri ematici.

Nel caso in cui abbiate assunto farmaci o abbiate seguito una dieta poco equilibrata, non vi rimane che chiedere consigli al medico di base. In questa fase, non ha senso omettere alcuni particolari o nascondere la verità. Le analisi del sangue sono un parametro fondamentale per valutare lo stato di salute ed è necessario che siano affidabili, precise e veritiere. Dopo il prelievo di sangue, la prassi prevede la colazione al bar. In questo caso, ci si può concedere anche un cornetto: l’importante è che si beva almeno un bicchiere d’acqua per aiutare la pressione a risalire.

Il trasferimento del paziente critico: come funziona

ll trasferimento del paziente critico verso una struttura ritenuta idonea è un argomento complesso che vede impegnati come attori il paziente, le strutture regionali e il Servizio Sanitario Nazionale. Per trasferimento di paziente critico si intende un trasporto primario che consente di avere accesso al livello di cura superiore perché una determinata struttura non è in grado di fornirglielo. Questo accade per un motivo fondamentale: la struttura non è in grado di erogare un servizio primario per il paziente.

Quando è necessario trasferire un paziente

Il trasferimento interospedaliero da una struttura all’altra è sempre necessario quando le condizioni del paziente sono critiche e la struttura ricevente è in grado di accogliere il paziente: si tratta di una procedura che va gestita nei minimi particolari perché non essendo un trasporto secondario, comporta dei rischi notevoli. Chi decide il trasferimento è sempre il medico curante: sarà lui a coordinare il trasporto attraverso la centrale operativa, il medico addetto al trasporto e il medico ricevente.

Queste figure professionali hanno un unico obiettivo: garantire al paziente il miglior trattamento possibile. Il trasferimento intraospedaliero è sempre a carico del Sistema Sanitario Nazionale, che opera nel minor tempo possibile per migliorare la qualità dell’assistenza ed evitare il sovraffollamento ospedaliero. In un periodo complesso come quello attuale, la pianificazione diventa imprescindibile. La pandemia da Covid-19 richiede l’attuazione di protocolli certi, verificati e condivisi in grado di tutelare non solo la salute del paziente, ma anche quella delle persone che gli stanno attorno. Il trasporto di un paziente in condizioni critiche è legato a due variabili: la condizione di salute del paziente e la possibilità della struttura di erogare le cure richieste.

Trasferimento di un paziente critico: i parametri vitali

Esistono parametri che inducono il medico ad attivare la procedura di trasferimento. Essi costituiscono una discriminante fondamentale perché restituiscono una sorta di cartina tornasole delle condizioni di salute del paziente. Alla presenza di determinati valori fisiologici e certificata l’impossibilità da parte della struttura di poter garantire le cure necessarie, il medico deve attivare le procedure di trasferimento. I casi più frequenti di trasporto ospedaliero sono: le ferite da arma da fuoco, le fratture al femore, le complicazioni polmonari e le ulcere. In caso di trauma spinale, il paziente dovrebbe essere sempre trasferito nel centro di riferimento in meno di 12 ore (nel caso ci sia un danno neurologico, il trasferimento deve avvenire dopo la stabilizzazione).

Nei casi di insufficienza respiratoria, il paziente va trasferito con un’ambulanza attrezzata per la terapia intensiva con farmaci e dispositivi per il supporto respiratorio avanzato. Lo staff deve prevedere 4 persone: l’autista, un medico, un infermiere e un terapista respiratorio. Prima del trasferimento, il paziente con insufficienza respiratoria deve essere stabilizzato: è fondamentale che questo avvenga perché un trasferimento frettoloso potrebbe causare complicazioni irreversibili alle vie aeree.

trasferimento di un paziente critico

L’importanza del medico

In tutti i casi di trasferimento di un paziente critico, la figura di riferimento è il medico. Prendiamo un caso di trauma cranico, di emorragia cerebrale, di complicazioni respiratorie o di infarto. Il medico deve scegliere in poco tempo e valutare in modo netto e deciso se i benefici del trasferimento del paziente superano i rischi. Non è mai una scelta facile e si opera in una condizione di stress psico-fisico notevole: la vita del paziente è a rischio e una scelta sbagliata potrebbe determinare un peggioramento irreversibile delle condizioni di salute.

Ecco perché diventa decisiva la formazione del medico e la sua capacità di interpretare il momento. Il timing e la preparazione al trasferimento devono essere impeccabili, non c’è spazio per l’errore umano o valutazioni errate. I pazienti critici che non vengono trasferiti nel minor tempo possibile verso un livello di cure maggiore vedono aumentare (e non di poco) il rischio di mortalità.

Come funziona il trasferimento del paziente critico

La normativa prevede che il trasferimento di un paziente critico sia gestita da medico che trasferisce, dalla Centrale Operativa di Soccorso e dal medico ricevente. La Centrale Operativa, per quanto concerne la struttura di destinazione, ha il dovere di far riferimento a determinati parametri. Il più importante è la territorialità: si cercherà di trasferire il paziente nella struttura più vicina in grado di erogare le cure adeguate. Tutto inizia con la valutazione clinica del medico che ha in cura il paziente: egli si fa carico del trasferimento e ne diventa responsabile dal punto di vista civile e penale.

Una volta attivata la procedura, il medico che trasferisce contatta il medico ricevente e inizia a istruirlo sulle condizioni di salute del paziente. In accordo con la Centrale Operativa definisce inoltre il mezzo di trasporto, il team preposto al trasporto del paziente critico e si occupa di trasferire tutta la documentazione. Il medico che
trasferisce è responsabile della valutazione iniziale del paziente, della scelta dell’ospedale, del mezzo di trasporto, dei trattamenti medici e farmacologici e di ogni prevedibile complicazione. Il medico che prende in carico il paziente ha il compito di verificare che il trasporto sia avvenuto in sicurezza e che il paziente abbia ricevuto il trattamento previsto dal medico che ha deciso il trasferimento.

Rientri e rimpatrio sanitario: come funziona e chi ne ha diritto

Rientri e rimpatrio sanitario, da quando è scoppiata la pandemia a gennaio 2020, hanno subito un rallentamento notevole. Per diversi mesi (prima del vaccino) sono stati vietati o concessi in maniera sporadica, con l’apertura del vaccino si è tornati (quasi) a pieno regime. Ad ogni modo, tutte le persone che devono rientrare nel proprio paese d’origine (indipendentemente dalla motivazione) devono sottostare a regolamenti ferrei. Per avere informazioni certe e aggiornate, bisogna fare un controllo incrociato del paese in partenza e del paese di arrivo.

In caso di positività al Covid-19 infatti, scattano procedure automatiche che i viaggiatori devono prendere per forza in considerazione. In questi casi, non si può viaggiare con i mezzi commerciali e bisogna sottostare alle procedure di quarantena e contenimento previste dal paese in cui ci si trova. Le procedure scattano inoltre per tutte le persone che sono state a contatto con il positivo.

Rientri e rimpatrio sanitario in periodo di Covid-19

Le leggi sui rientri e sui rimpatri familiari con il Covid-19 sono cambiate moltissimo e vengono costantemente aggiornate in base all’evolversi della pandemia. Dal 26 novembre e fino al 15 dicembre 2021, un’ordinanza del Ministro della Salute vieta l’ingresso e il transito nel territorio nazionale alle persone che nei quattordici giorni antecedenti hanno transitato in Sudafrica, Lesotho, Botswana, Zimbabwe, Malawi, Mozambico, Namibia, Eswatini.

L’unica eccezione è per i cittadini italiani che hanno la residenza anagrafica in Italia in data anteriore all’ordinanza. Lo Stato Italiano ha legiferato anche in tema vaccini. Dal 4 novembre 2021, i soggetti vaccinati all’estero con un vaccino non autorizzato da EMA possono ricevere una dose di richiamo con vaccino a m-RNA (30 mcg in 0,3 mL per Comirnaty di Pfizer/BioNTech; 50 mcg in 0,25 mL per Spikevax di Moderna) a partire da 28 giorni e fino a un massimo di 6 mesi dal completamento del ciclo primario. Per avere un quadro più esauriente della situazione sanitaria attuale, si rimanda alle circolari del Ministero della Salute in tema di emergenza Covid-19.

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Rientro in Italia e obbligo di Green Pass

Tutti i cittadini italiani (iscritti o non iscritti al Servizio Sanitario Nazionale) che sono stati vaccinati all’estero o che sono guariti all’estero da COVID-19 possono fare richiesta di Green Pass alla propria ASL di competenza. Chi non è in possesso della certificazione verde, non può entrare in territorio nazionale italiano. Attualmente la normativa prevede che l’ingresso in Italia (e il rimpatrio sanitario) sia concesso solo alle persone che:

  • hanno effettuato due dosi di vaccino
  • siano risultati negative a un tampone molecolare o antigenico nelle 48 ore precedenti
  • sono guarite da COVID-19 nei sei mesi precedenti

Rimpatrio sanitario dall’estero

Durante un viaggio all’estero, può capitare di restare vittime di incidenti o di malattie. Sono imprevisti sporadici, ma di cui bisogna comunque tenere conto. L’assicurazione medica svolge una funzione essenziale per il viaggiatore, che si può tutelare coprendo le spese farmaceutiche, le prestazioni ospedaliere e il rimpatrio sanitario.

In alcuni casi, il rimpatrio sanitario può salvare la vita (specie se ci si trova in paesi poco sviluppati dal punto di vista sanitario).  Il rimpatrio (detto anche evacuazione d’emergenza) si attiva ogni volta in cui un viaggiatore malato, o gravemente infortunato, non può ricevere cure nel luogo in cui si trova (lo Stato ospitante) e diventa necessario trasferirlo in strutture più adeguate.

Solitamente, i rimpatri sanitari (per malattia, infortunio o decesso) vengono gestiti dalla compagnia assicurativa che in base alle condizioni del paziente, definisce e coordina le procedure e la parte burocratica. Il trasferimento del paziente può avvenire sia con aereo di linea sia con aereo privato: in entrambi i casi, dovrà essere presente il personale medico. La compagnia assicurativa, in base alle condizioni del paziente, può decidere anche di trasportare il paziente e/o i pazienti in piccoli aerei con le stesse dotazioni dell’ambulanza. 

Rimpatrio della salma

Molto più complesso (sotto tutti i punti di vista) il rimpatrio della salma, perché coinvolge aspetti legali e burocratici. La maggior parte delle compagnie assicurative ha in essere convenzioni con agenzie funebri locali e internazionali e si attiene alle stesse. Il primo passo è il certificato di morte, che dopo la registrazione termina all’interno dei registri dell’ambasciata competente. La bara deve essere in zinco e deve essere sigillata e controllata con apposita procedura dalle autorità consolari o dall’ambasciatore. Il rientro in questo caso deve avvenire con un aereo di linea.

Cosa sono le terapie infermieristiche domiciliari e chi ne ha diritto

Le terapie infermieristiche domiciliari rappresentano un punto di forza del Sistema Sanitario Nazionale. La pandemia da Covid-19 inoltre ha accelerato questo modus operandi e sono sempre di più le persone che scelgono volontariamente di curarsi a casa. Partiamo da un assunto: il Servizio Sanitario Nazionale garantisce percorsi assistenziali nel proprio domicilio e cure domiciliari per tutte le persone che vivono una condizione di fragilità o che sono considerate autosufficienti. In particolar modo, lo Stato si prende cura delle persone che non sono in grado di curare sé stessi in modo autonomo.

L’assistenza domiciliare è un servizio previsto dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), nati con l’obiettivo di rispondere ai bisogni di salute delle persone fragili, degli anziani e dei disabili. In particolar modo, lo Stato ha creato diversi livelli essenziali a seconda della cronicità e delle patologie in essere in modo da fornire al paziente la miglior assistenza possibile. Il livello viene scelto attraverso specifici strumenti e scale di valutazione multiprofessionali e multidimensionali. Esse consentono di definire un piano di assistenza integrato.

Cosa si intende per terapie infermieristiche domiciliari

Le cure domiciliari consistono in un programma di trattamenti medici, infermieristici e riabilitativi fondamentali per assestare il quadro clinico, arginare il declino funzionale e migliorare le condizioni di vita dell’assistito. Ogni cura domiciliare viene erogata in modo diverso a seconda dell’organizzazione dei servizi territoriali delle ASL locali (con la collaborazione dei comuni). Il servizio di Assistenza Domiciliare è presente su tutto il territorio nazionale e fa capo alle regioni. Quindi, in ogni Regione, è possibile consultare il servizio di Assistenza Domiciliare regionale.

Assistenza domiciliare programmata e assistenza domiciliare integrata

I servizi di Cure Domiciliari sono sempre a carico del Servizio Sanitario Nazionale perché inseriti nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) senza limitazioni di età o reddito. Dopo aver analizzato in modo profondo la condizione socio-sanitaria dell’assistito, si ottiene un’analisi dei bisogni chiara, efficace e performante. In Italia esistono due tipologia di cure domiciliari: l’assistenza domiciliare programmata (ADP) e l’assistenza domiciliare integrata (ADI).

L’assistenza domiciliare programmata consiste in prestazioni sanitarie infermieristiche e/o riabilitative connesse a un episodio o una malattia specifica. Questa assistenza è limitata nel tempo e viene gestita dal medico di base, che di volta in volta fa il punto della situazione e valuta l’avanzamento del recupero. Questa cura domiciliare è rivolta alle persone che non camminano e che non sono in grado di raggiungere i servizi in modo autonomo, nonché inabili nell’utilizzare i mezzi pubblici.

L’assistenza domiciliare integrata invece è un sistema pianificato, meticoloso e integrato di trattamenti sanitari e sociosanitari a domicilio. Sono prestazioni continuative che in molti casi vedono l’intervento di più figure professionali. Questo prevede la normativa nazionale, inclusi gli Accordi Collettivi Nazionali per la Medicina Generali e gli atti approvati dalle Regioni in materia di assistenza sociosanitaria.

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Quanto dura l’assistenza domiciliare integrata

Se ti stai chiedendo quando dura l’assistenza domiciliare integrata, la risposta non è univoca: dipende dal tipo di patologia e dalle condizioni psicofisiche del paziente. Ecco le patologie che necessitano di assistenza domiciliare integrata:

  • malati terminali
  • malattie invalidanti e che necessitano di interventi complessi
  • incidenti vascolari acuti
  • fratture in anziani
  • forme psicotiche acute gravi
  • riabilitazione di vasculopatici
  • riabilitazione di neurolesi
  • malattie acute temporaneamente invalidanti nell’anziano (forme respiratorie e altro)
  • dimissioni protette da strutture ospedaliere

Le cure domiciliari integrate di primo livello sono costituite da prestazioni di tipo medico, infermieristico e riabilitativo, accertamenti diagnostici, assistenza farmaceutica e fornitura di preparati per nutrizione artificiale che arrivano fino a 5 giorni su 7. Se invece il paziente necessita di cure sei giorni su sette, le cure diventano di secondo livello. Infine esistono cure domiciliari di terzo livello per tutti quei pazienti che presentano un elevato livello di complessità e instabilità clinica che richiedono interventi strutturali e programmati 7 giorni su 7.
ziale e gli specifici medici specialisti necessari alla patologia del paziente.

Ospedalizzazione domiciliare: ecco i casi in cui è necessaria

Ci sono alcuni casi in cui persone affette da patologie croniche evolutive o in fase di riacutizzazione che richiedono un’assistenza medica e infermieristica 24 ore su 24. Essi necessitano di attrezzature (piantane per fleboclisi, erogatori di ossigeno, eccetera) e ausili per la deambulazione e per le funzioni fisiologiche. Questo servizio è erogato dalle regioni in modo autonomo attraverso la figura del medico di base, che si fa carico della parte burocratica e coordina gli interventi domiciliari.

Le principali terapie domiciliari

Ecco di seguito un elenco delle principali terapie infermieristiche domiciliari che possono essere effettuate da infermieri a domicilio specializzati:

  • Nutrizione del malato critico
  • Interventi terapeutici come la terapia iniettiva, terapia antalgica e terapia infusiva
  • Corretta gestione delle stomie
  • Cura e prevenzione delle infezioni con cateteri vescical e presidi intravascolari
  • Assistenza in situazioni legate ad incontinenza e a irregolarità dell’alvo
  • Prevenzione delle piaghe da decubito nei casi di anziani infermi
  • Assistenza in caso di sindrome ipocinetica legata ad una prolungata permanenza a letto del paziente
  • Assistenza infermieristica di tipo informativo a paziente e familiari
  • Gestione burocratica delle pratiche assistenziali, all’uso dei presidi
  • Gestione delle terapie farmacologiche e/o terapeutiche

Cosa vuol dire gasping e come si gestisce

Il respiro agonico (gasping) è un movimento muscolare involontario che si caratterizza per una riduzione estrema della frequenza degli atti respiratori fino al loro totale arresto. Non è un tipo di respirazione, è una condizione respiratoria non sufficiente e non utile ai fini dell’ossigenazione dell’organismo. Si tratta di una condizione di arresto respiratorio e che deve essere trattato secondo i consueti protocolli rianimatori attraverso la ventilazione artificiale e il massaggio cardiaco esterno.

Cosa vuol dire gasping e chi colpisce

Il respiro agonico (la traduzione italiana di gasping) si verifica nella gran parte degli arresti cardiaci (40%). In molti casi arriva proprio a seguito dell’arresto cardiaco e la sua sintomatologia viene confusa con una respirazione normale. In realtà è una modalità di respirazione inadeguata perché non garantisce il numero minimo di scambi gassosi alveolari.  Il gasping non è facile da individuare: può essere un respiro debole e pesante, ma può essere anche un respiro rumoroso e roboante. I medici sono concordi nell’affermare che il gasping consista in una specie di autorianimazione dell’organismo.

Le inspirazioni determinano un calo delle pressioni intratoraciche e nell’atrio destro e attraverso effetti emodinamici favoriscono il ritorno venoso al cuore. Le espirazioni del gasping d’altro canto aumentano la pressione intratoracica ed aortica e determinano un aumento della pressione di perfusione coronarica. A trarne beneficio è il flusso sanguigno.

gasping

Gasping e respiro patologico

La scienza è concorde nell’affermare che il gasping è un segnale positivo. Uno studio di alcuni ricercatori dell’Arizona infatti ha evidenziato che 191 soggetti soccorsi che presentavano il respiro agonico, la percentuale di sopravvissuti aumentava dal 7,8% al 28,3%. La presenza quindi di una attività respiratoria, anche se non propriamente utile ai fini dell’ossigenazione dell’organismo, è l’indice di un flusso cerebrale esistente che fa ben sperare.

Per respirazione patologica si intende una respirazione alterata che consiste in un continuo susseguirsi di atti respiratori non conformi. Tra queste alterazioni sono inclusi il respiro di Cheyne-Stokes, il respiro di Biot, il respiro di Kussmaul e il respiro di Fallstaff. La respirazione è un processo fisiologico di importanza vitale per gli esseri umani: attraverso di essa, l’organismo si ossigena e smaltisce l’anidride carbonica prodotta dal metabolismo cellulare.
 Esistono due tipi di respirazione: quella esterna (polmonare) e quella interna (cellulare).

Un atto respiratorio si compone di una fase inspiratoria (durata: 1,3-1,5 sec), e di una fase espiratoria (durata: 2,5 – 3 sec). Fra le due pause, generalmente, c’è una fase di 0,5 secondi. Questi sono i numeri di una respirazione normale: in un minuto, si registra un’oscillazione tra i 16 e i 20. Sopra (tachipnea) e sotto (bradipnea) queste soglie, si parla di alterazione patologica del respiro.

Alterazioni patologiche del respiro

La respirazione fisiologica normale è detta eupnea. Ogni sintomi di respirazione affannosa e difficoltosa invece è detta dispnea. Questa condizione non è necessariamente sintomo di una patologia, ma può comparire in seguito a un importante sforzo fisico. Se non è legata a un fatto particolare, può essere invece la spia di malattie come asma, polmonite, ischemia cardiaca, malattia polmonare interstiziale, insufficienza cardiaca congestizia, Bpco, stenosi laringo-tracheale o cause psicogene.

L’apnea invece consiste nell’assenza di respirazione per più di 15 secondi. Può essere di diversi tipi: volontaria, indotta farmacologicamente, connessa a patologie delle vie aeree e patologica (legata a encefaliti, sclerosi multipla, sindrome delle apnee ostruttive. Chi soffre di tachipnea invece, manifesta un aumento della frequenza respiratoria sopra i 20 atti al minuto (il contrario è la bradipnea). Simile alla tachipnea (ma da non confondersi) è la l’iperpnea che compare dopo tensione emotiva, abuso di alcol e sforzo fisico.

Come gestire un caso di respirazione alterata

Quando ci si trova di fronte a una persona che non respira bene, è necessario non perdere la calma e valutare l’ambiente in cui ci si trova. Non bisogna effettuare manovre di soccorso scellerate e bisogna assicurarsi che nella stanza non sussistano pericoli di incendio, gas o esalazioni di sostanze tossiche. In attesa dell’arrivo di figura professionale con competenze infermieristiche, la vittima non va mai spostata dal luogo dell’incidente, a meno che non sussista un pericolo imminente per il soccorritore e per l’infortunato. Solo in questo caso l’infermiere (o il primo soccorritore) è autorizzato a spostarlo. In seguito, l’infermiere o la persona preposta al soccorso deve effettuare questi semplici passaggi:

  • inginocchiarsi e chiedere all’infortunato come si sente (per un massimo di 10 secondi)
  • in caso di risposta positiva, significa che il cuore respira (niente arresto cardiocircolatorio)

In caso contrario, è probabile che il paziente sia in una condizione di non coscienza. Ecco cosa bisognerebbe fare in questi casi (in attesa di una figura professionale specifica):

  • allineare il respiro (se la vittima è prona, va messa in posizione supina)
  • aprire le vie aeree (per evitare che non ci siano corpi estranei all’inferno della bocca)
  • valutare il respiro (avvicinare l’orecchio alla bocca del paziente con lo sguardo rivolto al torace e guardare se il torace si solleva)
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